Interpretazione della clausola «de consensu partium» del can. 1681 CIC

 

Risposta a tre questioni circa l’interpretazione della clausola «de consensu partium» del can. 1681 CIC

I. An pro suspensione instructoriae processus nullitatis consensus utriusque partis sit ad validitatem requisitus;

II. Et, quatenus affirmative, an praemissa notificatione alterutri parti, eius «silentium» interpretare possit uti assensus;

III. Quinam sit modus procedendi, si pars conventa in processu nullitatis absens a iudicio declarata sit.

1. Innanzitutto si deve osservare che nel periodo della vigenza del Codice Piano-Benedettino la giurisprudenza rotale non aveva trattato il problema della sospensione del processo di nullità del matrimonio in vista del processo per la dispensa super rato.

Infatti, il can. 1963, § 2 di detto Codice e le norme posteriori (artt. 3 e 4 delle Regulae servandaedel 7 maggio 1923; art. 206 dell’Istruzione Provida Mater; n. I, e, dell’Istruzione Dispensationis matrimonii del 7 marzo 1972) non richiedevano la sospensione formale del processo di nullità per il passaggio al processo sull’inconsumazione. In confronto con il citato disposto del Codice, le norme successive (art. 3, § 1 e art. 4 delle Regulae servandae; art. 206, §§ 1-2 dell’IstruzioneProvida Mater) stabilivano che per il passaggio al processo super rato e la trasmissione degli atti alla Congregazione per la Disciplina dei Sacramenti fosse necessaria la petizione (art. 206, § 1 dell’Istruzione Provida Mater) o il libello (art. 206, § 2) di uno o di ambedue i coniugi per la dispensa dal matrimonio rato e non consumato.

Rimaneva però il dubium se il processo giudiziale dovesse terminare regolarmente con la sentenza o se la parte attrice, diventata anche l’oratrix, dovesse rinunziare all’istanza giudiziale per il passaggio al processo de rato.[1] Nello stesso tempo si riteneva che il dovere legale di trasmettere gli atti alla Congregazione per la dispensa pontificia comportava praticamente anche la sospensione del processo matrimoniale di nullità.[2] Ovviamente la trasmissione «nullius effectus erat» senza la petizione della dispensa almeno da parte di uno dei coniugi.

Nella prassi, quindi, dopo la sospensione di fatto del processo matrimoniale di nullità il Tribunale stesso chiedeva alle parti di presentare la petizione per la dispensa, completava l’istruzione sull’inconsumazione, preparava il voto collegiale e trasmetteva gli atti alla Congregazione per la Disciplina dei Sacramenti.

Presso la Rota Romana, però, sia in passato che attualmente il processo per la dispensa super rato, in forza delle facoltà speciali, non viene mai separato dal processo di nullità del matrimonio, ma si svolge insieme, sebbene subordinatamente.[3] In questo modo, il Turno giudicante con la sentenza definitiva può dichiarare che non consti della nullità del matrimonio, ma che consti dell’inconsumazione e si dà il consiglio al Santo Padre per la concessione della dispensa. Per questa ragione, nella prassi e nella giurisprudenza rotale non si pone dunque il problema della sospensione del processo matrimoniale di nullità quando nel suo percorso emerge la questione dell’inconsumazione del matrimonio.

È molto significativo che la dottrina processuale, commentando il testo del can. 1681 del Codice vigente, ripeta, di solito, le parole sulla necessità del consenso delle parti per la sospensione del processo matrimoniale di nullità, ma non ne prospetti la sanzione di nullità nel caso del mancato consenso di una di esse. Al massimo qualche Autore considera il consensus partium come la condizione sine qua non per il passaggio dal processo giudiziale di nullità matrimoniale a quello amministrativo per la dispensa pontificia.

Tuttavia, si deve precisare che il decreto di sospensione del processo giudiziale, menzionato dal n. 7 delle Litterae Circulares del 20 dicembre 1986, e dall’art. 153, § 1 della recentissima Istruzione Dignitas connubii del 25 gennaio 2005, non produce l’effetto estintivo del processo di nullità matrimoniale, come sostiene qualche Autore, ma quello sospensivo (cf. can. 1518). L’effetto estintivo potrebbe verificarsi soltanto nel caso in cui, dopo la concessione o la negazione della dispensa pontificia, la causa di nullità del matrimonio non fosse proseguita da una delle parti entro il termine stabilito per la perenzione dell’istanza (cf. cann. 1520-1522; artt. 146-148 dell’Istruzione Dignitas connubii).

2. In base al disposto del can. 1681, si può distinguere il consenso delle parti, richiesto per la sospensione del processo matrimoniale di nullità, dalla petizione (domanda) della dispensa da parte di uno o di entrambi i coniugi, parimenti indispensabile, come lo era nella disciplina precedente, per il passaggio dal processo giudiziale di nullità al processo amministrativo super rato.[4]

Infatti, la sospensione del processo matrimoniale di nullità richiede il consenso di ambedue le parti in causa, mentre il passaggio dal processo giudiziale di nullità al processo super rato richiede la petizione della dispensa pontificia almeno di uno dei coniugi, e quindi non necessariamente la domanda di entrambi.

2.1. Ciò premesso, non sembra che il consenso delle parti per la sospensione del processo matrimoniale di nullità sia richiesto dal can. 1681 (e dall’art. 153, § 1 dell’Istruzione Dignitas connubii) per la validità (ad validitatem) della stessa sospensione.

Invero, il disposto del can. 127, § 2, n. 1, secondo cui «si consensus exigatur, invalidus est actusSuperioris consensum earum personarum non exquirentis aut contra earum vel alicuius votum agentis», riguarda la modalità della partecipazione agli atti del governo da parte dei singoli e pertanto non dovrebbe applicarsi necessariamente agli actus processuales, in quanto «nullitas actuum processualium afficit ius processuale, et in processu propriam habet sedem».[5]

Anzi, durante la vigenza del Codice Piano-Benedettino l’opinione «solide probabilis», a causa delle «gravissima consectaria practica» nel caso dell’ammissione dell’opinione contraria, sosteneva che «invaliditas actus» per la mancata richiesta del consensus (consenso) o del consilium (parere) delle singole persone (cf. can. 105, n. 1) fosse da valutare come «vere dubia dubio iuris, ideoque in praxi nulla».[6]

Pertanto, si può ritenere che, in conformità con il disposto del can. 10, il consenso delle parti, richiesto dal can. 1681 per la sospensione della causa di nullità, ma senza una sanzione di nullità stabilita espressamente (expresse statuta), non può essere considerato come esigito ad validitatem actus. Quindi, se fosse stato richiesto il consenso per la validità della sospensione del giudizio di nullità, il suddetto canone l’avrebbe dovuto sancire espressamente (can. 10), come fa, ad esempio, il can. 1465, § 2, quando esige il consenso delle parti ad validitatem per la riduzione dei termini giudiziali e convenzionali: «Termini autem iudiciales et conventionales, ante eorum lapsum, poterunt (...) prorogari, numquam autem, nisi partibus consentientibus, valide coarctari».

2.2. Anche se il consenso delle parti per la sospensione della causa di nullità (can. 1681; art. 153, § 1 dell’Istruzione Dignitas connubii) fosse necessario ad validitatem actus, indirettamente, cioè in forza del can. 127, § 2, n. 1, tale consenso, però, secondo la suddetta norma, può essere inteso nell’accezione del consenso richiesto alle parti in causa (requisito partium consensu), e nell’accezione del consenso ottenuto da esse (obtento partium consensu).

E proprio la realizzazione giudiziale della prima accezione del consenso, richiesto dal can. 1681, si addice alla posizione processuale della non comparizione o assenza di una delle parti dal giudizio contenzioso ordinario (cann. 1592-1595) dal processo matrimoniale di nullità (artt. 138-142 dell’Istruzione Dignitas connubii), e anche dal processo super rato (n. 10 delle Litterae circulares). Infatti alla parte dichiarata assente nel processo matrimoniale di nullità si può chiedere il consenso per la sospensione della causa di nullità, sebbene raramente lo si possa ottenere da essa, trattandosi in realtà della sua contumacia. Il suo silenzio, però, può essere interpretato come non impugnazione (cf. can. 1524, § 3) della sospensione, ossia come tacito consenso, secondo la regola giuridica: Qui tacet, consentire videtur (ubi loqui potuit et debuit).

Questa conclusione non può essere messa in dubbio a causa delle divergenze dottrinali circa l’interpretazione della volontà di chi tacet. Si deve tener presente che anche il Codice vigente attribuisce efficacia giuridica al silenzio della persona legittimamente interpellata. Così, ad esempio, quando l’attore non obbedisce alla nuova citazione in giudizio si presume la sua rinuncia all’istanza della lite (can. 1594, n. 2). E anche nel caso in cui l’Ordinario del luogo deve interpellare la parte non battezzata, questa deve essere ammonita che, trascorso inutilmente l’intervallo di tempo concessole per rispondere, il suo silenzio verrà ritenuto come una risposta negativa (can. 1145, § 1).[7]

Alla luce di queste considerazioni si può concludere che il silenzio di una delle parti all’intimazione della proposta del giudice di sospendere il processo matrimoniale di nullità in vista del procedimentosuper rato, può essere legittimamente interpretato come il suo tacito consenso a tale sospensione. Anzi, con la proposta della sospensione della causa di nullità si può ammonire la parte assente delle conseguenze giuridiche del suo eventuale rifiuto (art. 153, § 4 dell’Istruzione Dignitas connubii).

3. Il modus procedendi nel caso in cui la parte convenuta è stata dichiarata absens a iudicio nella causa matrimoniale di nullità (can. 1592, § 1; art. 138, § 1 dell’Istruzione Dignitas connubii) può essere il seguente:

3.1. La parte convenuta, dichiarata assente dal giudizio nella causa di nullità del matrimonio, deve essere invitata (citata) a manifestare il suo consenso, per iscritto, entro i termini stabiliti, alla proposta di sospensione del processo giudiziale, e la sua posizione nei confronti del dubbio emerso in istruttoria circa l’inconsumazione del matrimonio e della possibilità di chiedere la dispensa super rato. In mancanza della risposta, tale invito dovrebbe essere ripetuto (cf. can. 1592, § 2; art. 138, § 3 dell’Istruzione Dignitas connubii).

Questo modo di procedere non è «superfluo» e «inutile». Anche nel processo giudiziale alla parte convenuta, dichiarata absens a iudicio, devono essere notificate sia la formula del dubbio sia la sentenza definitiva (cf. art. 60, § 3 delle Normae Rotae Romanae; art. 134, § 3 dell’Istruzione Dignitas connubii).

3.2. Qualora la parte convenuta non rispondesse, il giudice, valutando il silenzio della parte convenuta come tacito assenso alla sospensione del processo e alla richiesta della dispensa, con decreto sospende il processo matrimoniale di nullità (can. 1681; n. 7 delle Litterae circulares; art. 153, § 1 dell’Istruzione Dignitas connubii), dispone il transitus al processo super rato e dichiara la parte convenuta assente anche in questo procedimento (n. 10 delle Litterae circulares).

La prassi rotale, difatti, presenta non pochi casi, specialmente durante la vigenza del Codice Piano-Benedettino, in cui il processo super rato, condotto in modo subordinato al processo matrimoniale di nullità, procedeva regolarmente fino alla sentenza definitiva anche in assenza (contumacia) della parte convenuta,[8] e ciò, anche quando la parte convenuta era stata citata per edictum.[9]

4. La risposta ai quesiti posti è, dunque, la seguente:

ad I: Consensus utriusque partis, quamvis necessarius sit pro suspensione processus de matrimonii nullitate, ad validitatem actus tamen non requiritur;

ad II: Silentium alterutrius partis aestimari potest uti assensus;

ad III: A parte conventa, quae in processu de matrimonii nullitate absens a iudicio declarata est, assensus pro suspensione processus et pro imploranda dispensatione super rato semper exquiri debet.

Julián Card. Herranz
Praeses

+ Bruno Bertagna
a Secretis

 

Città del Vaticano, 2 marzo 2005

 

 

[1] Cf. I. Gordon, De processu super rato, vol. I, Romae 1974, p. 31.

[2] Cf. J. Torre, Processus matrimonialis, Neapoli 1956, p. 358.

[3] Cf. Rescriptum ex audientia Sanctissimi, 30 settembre 1995, n. 2.

[4] La formulazione dell’art. 153 dell’Istruzione Dignitas connubii accosta il consenso delle parti alla petizione (richiesta) di dispensa di uno dei coniugi, o di entrambi.

[5] F. Roberti, De processibus, vol. I, In Civitate Vaticana 1956, p. 619; cf. c. Stankiewicz, decr. 17 giugno 2004, Int. Salernitani-Lucani, n. 6.

[6] G. Michiels, Principia generalia de personis in Ecclesia, Parisiis-Tornaci-Romae 1955, p. 521.

[7] Cf. anche can. 57, § 2: «Hoc termino exacto, si decretum nondum datum fuerit, responsum praesumitur negativum». Riguardo al consensus praesumptus: cf. can. 764: «de consensu saltem praesumpto rectoris...»; can. 1003, § 2: «de consensu saltem praesumpto sacerdotis».

[8] Cf. c. Anné, dec. 28 ottobre 1961, RRDec., vol. LIII, p. 462, n. 8; c. Bejan, dec. 10 novembre 1971, RRDec., vol. LXIII, p. 858, n. 7.

[9] Cf. c. Sabattani, dec. 21 luglio 1960, RRDec., vol. LII, p. 407, n. 2; c. Mattioli, dec. 7 dicembre 1961, RRDec., vol. LIII, p. 582, n. 1.