Riforma del diritto penale: il Card. Coccopalmerio fa il punto della situazione

Prosegue con impegno il lavoro di riforma del libro VI del Codice sul diritto penale canonico. Lo ha detto il Cardinale Francesco Coccopalmerio, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, intervenuto a Cagliari per l’inaugurazione dell’anno giudiziario al Tribunale ecclesiastico della Sardegna.

 

A distanza di circa quattro anni dall’inizio dei lavori di riforma, è arrivato il tempo delle prime conclusioni: Coccopalmerio ne ha voluto anticipare tre di particolare rilevanza.

 

La prima riguarda il superamento della distinzione tra pene medicinali e pene espiatorie, così come oggi regolate dal can. 1312 CIC. Come noto, le pene medicinali o censure sono previste ai cann. 1331-1333 e sono di tre tipologie: scomunica, interdetto e sospensione; le pene espiatorie sono invece tutte le altre, disciplinate al can. 1336. La distinzione tra pene medicinali ed espiatorie era presente anche nel Codice del 1917 e ha alle spalle una lunga tradizione. Tuttavia oggi sembrano maturi i tempi per un intervento normativo di modifica, in considerazione del fatto che tutte le pene – e  non solo quelle previste dal can. 1336 – hanno in sé un carattere espiatorio, nel senso che ogni punizione ha sempre anche una funzione di condanna del delitto. In sostanza non ci sono pene in sé solo espiatorie o solo medicinali, ma tutte le sanzioni nella Chiesa hanno al contempo funzione espiatoria (espiazione della colpa) e funzione medicinale (remissione del reo). Un’eccezione forse può essere la dimissione dallo stato clericale (can. 1336, § 1, n. 5), ove è presente la funzione espiatoria, ma – per la definitività che la connota – è più difficile rinvenire un aspetto medicinale.

 

La riforma in atto tende anche ad una nuova catalogazione delle pene canoniche, volta in particolare a superare la possibilità di applicazione della pena della sospensione ai soli chierici, come oggi previsto dal can. 1333, §. 1. L’attuale normativa sembra ancora risentire di una vecchia impostazione secondo la quale sono i chierici ad esercitare gli uffici ecclesiastici: in realtà, ai chierici sono certamente riservati gli atti legati alla potestà di ordine, ma non in generale tutti gli uffici ecclesiastici a cui sono ormai chiamati anche i laici. Sarebbe quindi più congrua la previsione della pena della sospensione da un ufficio in termini generali, senza riferirla specificamente ai soli chierici. Appare poi limitativo che prendere in considerazione solo la sospensione: sarebbe meglio invece prevedere una serie più articolata di proibizioni relativamente agli uffici ecclesiastici.

 

Un terzo importante punto della riforma è la revisione della pena della scomunica, pena prevista oggi al can. 1331. Attualmente nel diritto penale canonico esiste un unico concetto di scomunica, ma da essa discendono effetti diversi a seconda dei casi. Nell’ipotesi di eresia o scisma infatti la pena della scomunica comporta l’automatica rottura della comunione con la Chiesa, cosa che invece non avviene per esempio nei confronti di chi viene colpito sempre da scomunica per aver praticato l’aborto. L’idea allora è quella di recuperare nel codice latino un concetto ben presente nel diritto orientale, quello cioè di prevedere in termini differenziati una "scomunica maior", tale da comportare la perdita della comunione con la Chiesa, e una "scomunica minor", sostanzialmente coincidente con l’interdetto.

 

Il Cardinale Coccopalmerio ha quindi auspicato di giungere quanto prima ad una buona proposta di riforma, pur nella consapevolezza che si tratta di una revisione profonda che va ad incidere anche su aspetti storicamente consolidati, ma sui quali oggi sembra ormai necessario intervenire.

 

All’elaborazione di un testo di schema di modifica del Codice seguirà una consultazione di esperti. Dopo una ulteriore fase di studio sulla base dei suggerimenti degli esperti, si prevede di passare ad una consultazione delle Conferenze episcopali e quindi ad una proposta da sottoporre al legislatore.